Don Oreste servo di Dio, l’omelia del vescovo
Un santo è come il rosone di una cattedrale, ha detto il vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, nella sua omelia in occasione dell’apertura della causa di beatificazione per don Oreste Benzi. «A tutti sarà capitato di contemplare almeno qualche volta il rosone di una cattedrale gotica. Se, visto di fuori, ci appare solo come un grande tondo fatto di pezzi di vetro saldati con strisce di piombo, una volta entrati nella cattedrale e visto in controluce il rosone ci si mostra in tutto il suo splendore. Un santo - inteso come un autentico testimone della fede - è un po' così. Per contemplarne l'immagine incantevole, lo dobbiamo guardare in sovrapposizione verso la parte da cui proviene la luce del vangelo».
La pagina di vangelo letta è stata quella che racconta di Bartimeo, il cieco mendicante seduto sulla Gerico-Gerusalemme. Ci fa capire «la lieta notizia che don Oreste ha recapitato a tanta povera gente», dice il vescovo.
«Sulla Gerico-Gerusalemme degli emarginati, dei poveri, dei disabili, dei nomadi, delle prostitute, dei cercatori di Dio, dei mendicanti di luce, don Oreste è passato e ripassato infinite volte, e ogni volta a captare anche l'urlo represso, anche il grido più flebile, anche il pianto più strozzato, come quello dei bimbi non nati, mentre tanti di noi hanno cercato di soffocarlo, o hanno fatto finta di non sentirlo. Il don invece si è esposto al gemito di quelli che non contano e lo ha fedelmente riportato al suo dolcissimo Signore. E Gesù lo ha incaricato di andare a riferire il consolante messaggio: ‘Coraggio, alzati, ti chiama’. Tre parole divine, le uniche capaci di risuscitare una vita spenta».
Ciò che ha distinto don Oreste è stata la sua pratica della condivisione. «Diceva ancora: "Quando un povero ti chiede un pezzo di pane o un caffè, tu non ti limitare a darglielo. Mangia quel pezzo di pane o prendi quel caffè insieme con lui". Questo era il suo metodo! Un giorno, a Roma, il don vede due poveri davanti a un bar: uno mandava un tanfo terribile (lui lo chiamava il ‘profumo degli angeli’), l'altro era un po' più distinto. Il don dice a quello che spargeva il profumino angelico: "Venga con me che andiamo a prendere qualcosa". La signora del bar ha storto un po' il naso, però l'ha accolto e servito. Poi anche l’altro - quello più distinto – ha fatto un po' più di fatica ad accettare, ma piano piano il don l’ha accompagnato dentro al bar e tutti e tre hanno consumato qualcosa insieme. Era lo stile del don con i poveri: non ‘dare’, ma ‘condividere’. Un conto è la società dell’elemosina, un conto è ‘la società del gratuito’. Diceva il don: "La condivisione contiene in sé la giustizia più piena"».
Don Oreste non ha solo testimoniato la pratica della condivisione. L'ha anche spiegata. «Ha scritto: "C’è differenza tra servizio e condivisione. Il servizio chiede la prestazione, la condivisione chiede l’appartenenza. Il povero che incontri è un cuore da capire, non è uno stomaco da riempire. Se lo tratterai come uno stomaco affamato in cui getti pastasciutta e carne arrostita, un giorno te la vomiterà. Il povero è una persona con doni stupendi che porta con sé, con una missione da compiere».
Il vescovo cita Soren Kierkegaard per dire che, invece, per don Oreste, “la spiegazione di ciò che ha riempito la sua vita, la parola che spiega tutto di lui, esiste ed è chiarissima; si tratta solo di raccoglierla. Il terreno, la radice e l'albero, per il Don è la persona di Gesù Cristo! Gesù è tutto per lui. Come san Paolo, don Oreste ha potuto dire: "Per me vivere è Cristo" e "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me" (Fil 1,21; Gal 2,20). Come Francesco d'Assisi, don Oreste non si è innamorato della povertà, ma di Cristo che, "pur essendo ricco, si è fatto povero per noi" (2Cor 8,9). Infatti non ci si innamora di una virtù, fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona. Questa è la profezia di don Oreste! Diceva: "Il Signore non vuole tanto dei facchini che sgobbano per lui, ma vuole degli innamorati che agiscano e vivano per lui, con lui e in lui».